Quando i genitori sacrificano i figli in gioventù - Studio di Mediazione familiare, pedagogia e orientamento

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Quando i genitori sacrificano i figli in gioventù
di Maurizio Forzoni
                

Maurizio Forzoni
Per occuparci del ben-essere o del suo ritrovamento, non possiamo che occuparci dei malesseri nella civiltà. E' una questione d'imputazione e giudizio di eventi, atti, fatti, pensieri e omissioni che si riscontrano dalle storie formative di soggetti, bambini, ma, soprattutto, adulti che si rivolgono a noi. La vita pensata come sacrificio ha radici molto profonde ed è più praticata di quanto si possa immaginare. Spesso tale concezione e ideologia è, infatti, realmente riscontrata in talune famiglie che ancora   sono --  salvo i casi particolari -- i primi centri d'incontro e relazione, ma anche di mancati appuntamenti, obiezioni al rapporto e al pensiero, ingiustizie, abusi e sofferenze del bambino e poi dell'adulto. Spesso di tali fatti non se ne vuol parlare (e nemmeno sentir parlare) perché vi è dietro una forte resistenza sociale, un tabù, quell'idea di "sacra famiglia", sino a considerarla ente trascendente al di sopra di ogni possibilità di giudizio e di critica. Non è così. Molti disagi si rilevano essere nati, alimentati e perpetrati proprio dentro le mura domestiche.

Quando i genitori, padre o madre, ma anche fratelli e sorelle, non lasciano libero il "con-giunto" di fare le proprie scelte, soffocandone il pensiero e l'azione, osteggiandolo o influenzandolo nella scelta degli studi, della professione, delle attività, persino del pensiero, ciò genera ovviamente molte sofferenze che, se non comprese per tempo, possono provocare  serie crisi nell'economia, nella formazione e nell'orientamento del soggetto. Questo modo di agire è spesso fatto passare per amore, quando, in realtà, è una forma grave di possesso dell'altro, d'invidia e gelosia, è un modo per non volerne riconoscere l'alterità, i desideri e le vocazioni. E' una forma di egoismo e narcisismo: "o sei a mia immagine e somiglianza, o non ti voglio. Non ti amo". E' il ricatto morale e "amoroso" che, allorquando creduto e fatto proprio, provoca molti smarrimenti e disorientamenti.

Nel sociale si sente parlare spesso  dell'importanza dei nonni, ossia della presenza dei genitori dei genitori, non solo dal punto di vista economico, ma altresì come presenza, impegno e sostegno  nella vita e nella storia dei nipoti. Non si sente però mai parlare di quei casi in cui, figli in difficoltà, non sono  aiutati né moralmente né economicamente dai padri/madri, o altri parenti, ma lasciati soli a dover fronteggiare situazioni con lavori precari o saltuari. E' l'altra faccia della crisi che attanaglia la nostra società e di cui, come in ogni tabù che si rispetti, non si può parlare. Aiutare le famiglie e i genitori, sostenerli nei progetti, interessarsi della loro vita è l'unica strada per occuparsi anche dei figli (e delle eredità) che in esse nascono e crescono.

Ho lavorato con soggetti che,  in quanto dentro a tali dinamiche diseconomiche e improduttive, hanno per anni cercato di pagare i debiti lasciati dal padre defunto. Lo hanno fatto proprio perché lo pensavano un dovere: "Le colpe dei padri ricadono sui figli !!!". Non è così. Ciascuno può sempre lavorarci e cambiare l'esistenza, il destino costruito dall'alt(r)o. Indebitare i figli è in realtà lasciare quel legame -  inteso non come rapporto bensì come laccio e cappio - inalterato, sempre uguale, pericolosamente ripetitivo, anche "post mortem".  La libertà e l'autonomia di giudizio  sono negati  in "saecula saeculorum".

In tali contesti familiari e sociali è esercitato sulla "prole" una sorta di diritto e obbligazione naturale, ove qualunque cosa sia fatta, anche se va a detrimento e a danno, è dovuta, consentita, accettata, giustificata, non giudicata, né giudicabile, in nome dell'AMORE (scritto con le maiuscole, perché ideale puro e puro ideale). I bambini, i ragazzi,  e  anche gli adulti (perché situazioni del genere, se non affrontate, tendono a ripetersi per tutta la vita), sono trattati da oggetti, zimbelli, pronti a soddisfare i capricci di genitori o parenti prossimi. Siamo evidentemente nella perversione, anche se spesso è difficile riconoscerla, dal momento che le resistenze, come detto, sono fortissime e a volte spietate. Il soggetto che alla fine riconosce la relazione malata e le difficoltà esistenziali, economiche e di vita che tutto ciò ha cagionato, e non ci sta più, non risponde più ai comandi, alle imposizioni, denuncia con il suo prenderne le distanze la situazione, spesso è isolato, abbandonato davvero. Ciò fa pensare a quanto la paura dell'abbandono, patita in genere da questi soggetti in età precoce, fosse reale. Il soggetto che temeva di perdere l'amore, e quindi ha ceduto nel suo desiderio per non correre questo pericolo,  aveva tutte le ragioni per farlo, per sentirsene angosciato. La questione su cui non ha lavorato, però, è nel cercare una valida alternativa a delle relazioni che evidentemente non erano tali sin dall'inizio.  Quando si affronta, nell'ottica educativa e pedagogica,  le fobie dei bambini o degli adulti, occorre sempre prenderle sul serio, perché lo sono. La fobia è solo la metafora, lo spostamento, di una paura reale temuta dal soggetto. Pensiamo alle fobie scolastiche di cui soffrono molti bambini e che spesso vengono prese come delle "bizze", dei capricci. In realtà, se questi bambini vengono ascoltati dagli educatori, pedagogisti e insegnanti, ne viene fuori il loro fondamento.

L'angoscia è sempre un segnale di cui occorre tener conto e il sacrificio dei figli, la mortificazione dei genuini desideri,  ha sempre gravi conseguenze. Occorre sempre riconoscerlo per tempo, anche perché un figlio o una figlia non liberi, soffocati, potranno  allontanarsi e non poterne più, quando magari i genitori o uno di essi ha più necessità di cure e di accudimento a seguito dell'avanzare dell'età. Il mancato appuntamento, attenzione, rapporto,  cura (reale) ricevuta può allora trovare una via di fuga  nella sanzione, nella sconfessione,  anche se tardiva. Meglio giudicare e sanzionare per tempo, quando è possibile ancora salvarsi dai "legami" malati e infruttiferi.



Arezzo, lì 20/01/2020






© Dott. Maurizio Forzoni    



    Maurizio Forzoni (info@maurizioforzoni.it/347.8392440), pedagogista, mediatore familiare e orientatore esistenziale, attualmente svolge attività di pedagogista,  orientamento esistenziale e formativo nelle relazioni d'aiuto in ambito familiare, soggettivo, scolastico, all'interno del Centro Formativo, didattico-pedagogico, di orientamento e ricerca UniSocrates di Arezzo, città nella quale vive. E' formatore della didattica innovativa iscritto al Registro Internazionale I.E.T, è iscritto al Registro Nazionale Orientatori presso l'Associazione Nazionale Orientatori – Roma, ed è formatore e supervisore autorizzato Eipass – European Informatics Passport.



 
                          





























(C) 2022 Dott. Maurizio Forzoni

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