PERCHE' E' IMPORTANTE DIFENDERE IL SOGGETTO DALL'INVIDIA?
di Maurizio Forzoni
Per introdurre la questione dell'invidia, occorre rifarsi proprio alla domanda che abbiamo inserito nel titolo: perché è importante difendere il soggetto dall'invidia?Perché, come dice Giacomo Contri: "Ne uccide più l'invidia che la spada". E' un buon motivo per fare opera di prevenzione e d'intervento in aiuto a coloro che siano caduti dentro la trappola dell'invidia familiare, parentale e sociale. L'invidia è, infatti, la patologia perversa più diffusa nella nostra società, senza essere perlopiù riconosciuta*.Nel pensiero invidioso, occorre premettere, ci sono sempre almeno quattro elementi in gioco: l'invidioso, l'invidiato, il mondo e l'oggetto. Non è mai un duello (di spada, appunto) che riguarda due persone, ma, come in tutti i conflitti, coinvolge l'universo (i panni sporchi, non si lavano mai in casa: è uno dei tanti inganni nei quali si casca molto spesso. I modi di dire costituiscono le istituzionalizzazioni degli inganni, a tal guisa che vengano ripetuti, ripetuti -- senza analisi critica e di pensiero -- nei secoli dei secoli).Passiamo ad analizzare i soggetti implicati nella questione della patologia amorosa e dell'invidia. Ne possiamo parlare, infatti, come mal-d'amore e odio. Nei casi più gravi, di fatti, il conflitto si acutizza a tal punto da desiderare l'annientamento economico-psichico-sociale del soggetto invidiato. Ecco perché la spada e il duello all'ultimo sangue c'entrano. Si comincia sempre con l'amarsi, si finisce coll'odiarsi e farsi la guerra.L'invidioso**, il quale soffre sempre di un disturbo di personalità ben radicato e proveniente dal proprio vissuto di bambino, non lavora mai con profitto, ma sempre in perdita. Non riesce a costruire e quindi distrugge o anela affinché l'altro vada in malora e soffra. E' concentrato esclusivamente negli oggetti e nelle relazioni oggettuali, sino ad arrivare a trattare l'altro come oggetto dei propri esclusivi capricci. Nel momento in cui quell'"oggetto" non gli interessa più lo getta, e passa -- con grande rapidità -- ad un altro, senza dare spiegazioni, ma scaricando la colpa sempre e comunque all'altro. Sono gli altri che non lo capiscono, perché non sono al suo servizio. Nel contemporaneo l'invidia è più diffusa di quanto si voglia riconoscere. L'invidia colpisce e affligge non solo chi non ha, o ha difficoltà economico-sociali, ma anche coloro che sono ben inseriti, che hanno condizioni agiate e vita sociale molto attiva. In tali soggetti questo malessere si manifesta sovente con il desiderio narcisistico di assere ammirati, invidiati, sino ad arrivare, nei casi più gravi, all'ostentazione megalomane. Molti soggetti invidiosi, seguendo la propria pulsione mortifera di avere sempre di più, senza mai essere paghi e soddisfatti, sono finiti in malora, compromettendo anche le proprie famiglie.L'invidiato, o colui che si sente tale, è in genere un soggetto che sin da bambino riusciva a seguire il proprio pensiero autonomo e creativo. Riusciva a coltivare buone relazioni con i propri compagni, era ricercato, stimato e, in certi casi, ammirato e corteggiato. Il sapersi ben disporre non è mai tollerato da nessun perverso. Se c'è una posizione che il perverso e, quindi, l'invidioso non tollera è l'altrui principio di piacere. Sarebbe molto importante che il bambino riconoscesse e imputasse nell'altro l'invidia a suo danno. Spesso però ciò non accade, dal momento che l'offensore è sempre un membro della propria famiglia, o un parente, o un amico del quale il soggetto si fida ciecamente. Ecco ciò che si può chiamare avere "fede"! Molte delusioni e problematiche si celano dietro tale imperativo: "Abbi Fede !!!". Se il bambino continuasse a giudicare l'altro come affidabile o meno, invece di averne fede illimitata senza giudizio, molte questioni si risolverebbero e tante sofferenze sarebbero evitate. Purtroppo la nostra cultura ci inculca l'idea della "fede", dell'innamoramento, del perdere la testa, e da qui cominciano i guai. Tutti i disturbi patiti dall'umano sono riconducibili agli innamoramenti, al cadere negli ideali senza giudizio. E' ci sono sempre coloro, in "mala-fede", che ne approfittano. Salvo che il soggetto offeso riesca ad impostare una buona difesa.L'oggetto c'entra. In ogni perversione il soggetto si ferma all'oggetto ed è concentrato esaustivamente su di esso. Non sa cosa vuol dire costruire economicamente delle relazioni fruttifere, ove i soggetti sono persone (in carne, ossa, pensiero e sentimenti) e gli oggetti sono dei mezzi (non il "fine" ultimo). Nella società contemporanea è evidente che questi disturbi sono alimentati e incentivati, possiamo dire proprio istigati, dal fatto/atto che siamo immersi in una girandola di oggetti senza limite, sino alla mercificazione della propria immagine e delle proprie vite in vetrina. La società contemporanea è incentrata sulla prevalenza dell'immaginario. E' divenuto più importante fornire un'immagine di sé e della propria vita, far credere all'altro di essere in un determinato modo, che vivere secondo i propri principi. E' un modo, in realtà, per sfuggire al giudizio proprio e altrui. Terreno fertile, questo, per gli invidiosi e i narcisisti, per i conflitti, le obiezione al rapporto, sino ad arrivare, in taluni casi, all'odio verso l'altro. Gli "hater" (con tutta la loro aggressività e violenza) non sono solo un prodotto di questa società dei "social", ma il risultato di un malessere molto più ampio che investe il soggetto nella propria vita reale.L'universo è il terreno, spesso il palcoscenico, ove l'invidioso lavora "contro", eterno e instancabile "bastian contrario". L'obiezione, la calunnia, il mal-affare, la maldicenza, sono "pane quotidiano" dell'invidioso. E, per fare ciò, ha sempre bisogno di un palcoscenico nel quale mettere in cattiva luce e in difficoltà colui che invidia, ponendo nel piedistallo se stesso, i propri esclusivi bisogni e presupposti meriti. In realtà ciò che davvero odia il perverso/invidioso è l'universo, tanto che se la prende con chiunque gli capiti sotto. Prima lo ama di un amore sconfinato, per poi odiarlo di un odio altrettanto sconfinato. Non è mai molto lontano dalla paranoia, con relativi deliri di persecuzione e di onniptenza. Come sa fare la vittima l'invidioso, non lo sa fare nessuno!!! E' il coté teatrale della perversione. Non sperate che un perverso attivi un percorso d'aiuto o di riorientamento del proprio pensiero, perché ciò non avviene quasi mai. E' troppo perso nel suo godimento, ne sa troppo, per poter accettare di mettere sul tavolo la propria storia assieme ad un altro che finisce per giudicare sempre "non-all'altezza". I problemi li hanno gli altri. Sono gli altri che hanno bisogno di farsi curare.Gli effetti del mal-pensiero invidioso: il problema delle calunnie, delle diffamazioni, dei pettegolezzi e dei pregiudizi, tutte armi che in genere l'invidioso utilizza per arrecare danno e discredito a colui che invidia/odia, creano in genere molti malesseri al soggetto che ne cade vittima, dal momento che spesso tali mal-azioni e male-dizioni vengono credute dai "clan familiari" o "gruppi sociali". Può capitare, quindi, che il malcapitato si trovi ad essere isolato ed emarginato un po' da tutti. Pensiamo, per citare un caso famoso, alla cantante Mia Martini, la quale cadde, sicuramente per invidia nei confronti delle sue indiscusse doti canore e artistiche, vittima della maldicenza e della calunnia di essere un soggetto che portava male. Mia era una donna già provata nella vita, divenuta fragile per conseguenza di un'infanzia molto problematica, soprattutto a causa di un padre "perverso" che maltrattava sia lei che la sorella. Perciò era il bersaglio ideale e favorito della cattiveria insita nelle dinamiche di "gruppo". Se analizziamo la questione con spirito critico, di fatti, nessuno potrebbe credere che un soggetto sia portatore di "mal-occhio". Eppure le masse, i clan, i gruppi perversi, riuscirono a sostenere e a diffondere questa tesi, questa teoria, di bocca in bocca, sino a che Mia Martini, non riuscendo a trovare mezzi e strumenti per difendersi, cadde in un forte stato depressivo, tanto da porre fine alla propria vita. Sono eventi reali che accadono continuamente, di cui però la massa, il popolo, il sociale ne prende atto -- e non sempre ciò avviene- quando avvengono fatti gravi e irreparabili. Mia Martini, a mio parere, non ha avuto giustizia del male che Le è stato inflitto, nemmeno oggi, checché ne dicano i suoi colleghi e i mass media che ne hanno fatto show e celebrazioni "post mortem". La questione e le sue spine sono state toccate se non marginalmente. L'umano non tollera che la pulsione distruttiva parta sempre dal vicino, dall'amico, dal parente, dal familiare, dal compagno di banco e mai da lontano.Il ri-orientamento formativo della vittima del mal-pensiero invidioso: a cadere vittima del pensiero invidioso è sempre il bambino. O meglio sarebbe dire che il primo attacco al proprio pensiero ciascuno di noi lo subisce molto precocemente. Il soggetto che poi non riesce a difendersi da tutto ciò, potrà finire per diventare o un offensore o un offeso, o, caso molto più frequente di quanto si pensi, l'uno e l'altro. Perciò noi siamo assolutamente certi che il cadere e/o restare vittima di un offensore parentale e familiare, sia sempre conseguenza diretta di un errore nell'educazione avvenuto in maniera precoce. Del resto proprio Freud ci ha lasciato questa eredità, mettendo in guardia gli educatori del tempo dai molti errori che causano sofferenze e deviazioni nel bambino e, poi, nell'adulto. Questi abusi, soprattutto quando in famiglia c'è un perverso o più di un perverso che non pensano affatto di cambiare il proprio modo di porsi, si possono reiterare anche per tutta la vita. In ciascun soggetto ci sono dei retaggi di perversione che derivano proprio dall'infanzia; per taluni soggetti, quindi, è difficile uscire dallo status di vittima o di malessere, finendo col riproporre e reiterare, anche per tutta la vita, le medesime dinamiche familiari a cui si è ed è stato sottoposto***. In tali casi le scelte di vita, di partner, di amici, potranno tutte riproporre i medesimi scenari, ovvero finire con scegliere persone che inesorabilmente finiranno per deluderli o ingannarli o abbandonarli, e così via. E' la trappola in cui cade il soggetto che non legge e riscrive la propria storia, che non vuole saperne di riconoscere il primo o i primi offensori al suo pensiero. Il lavoro di un soggetto in orientamento è un lavoro formativo, da farsi assieme ad un partner, un compagno di viaggio che lo possa aiutare, prima di tutto a riconoscere la propria storia, poi ad accettarla e, successivamente, a ritrovare quel pensiero, quelle mete, quegli obiettivi particolari di cui è stato deprivato, finendo, poi, per non autorizzarsi più a fare niente che non fosse conforme all'educazione subita e imposta. In tal senso è un lavoro "diseducativo", volto a riconoscere quelle teorie che lo hanno allontanato dalla propria sovranità di pensiero, quei fardelli e pesi che si è preso sopra le proprie spalle, quelle gabbie di pensiero che costituiscono una barriera, un muro, tra se stesso, il proprio desiderio e il mondo.* Spesso viene erroneamente confusa con la gelosia.** Per invidioso si intende sia uomo che donna. Non ne facciamo, come al solito, una diatriba di genere o di sesso. Le questioni sono sempre soggettive, senza nulla togliere alle differenze anatomiche tra uomo e donna. La prima guerra a cui cultura ci ha abituato, o meglio istigato, è a farsi la guerra tra i sessi. Freud parlò dell'invidia del pene. L'interrogativo è sicuramente più ampio, tanto che Lacan è passato dal concetto di pene, a quello di fallo, ovvero di oggetto anelato, ricercato, insoddisfacente, presunto mancante, tanto negli uomini quanto nelle donne. E' stato ad ogni modo sempre l'amico del pensiero Freud a riconoscere, per primo, che l'isteria non è solo femminile, ma anche maschile, così come la bisessualità. Il problema è che, ancora oggi, non ne vogliamo sapere (la rimozione nevrotica o la negazione perversa ce ne danno testimonianza).***Freud definì il bambino un "perverso polimorfo". Ripensandoci, si riferiva a quanto, anche nella civiltà in cui viveva, si facesse per pervertire i pensieri dei bambini, per considerare "malvagi" e "vietati" quei processi psichici (pulsioni) che, in realtà, non contenevano nessuna malizia e nessun male se non quello che gli veniva attribuito dal mondo degli adulti.Arezzo, lì 05/10/2019© Dott. Maurizio ForzoniMaurizio Forzoni (info@maurizioforzoni.it/347.8392440), pedagogista, mediatore familiare e orientatore esistenziale, attualmente svolge attività di pedagogista, orientamento esistenziale e formativo nelle relazioni d'aiuto in ambito familiare, soggettivo, scolastico, all'interno del Centro Formativo, didattico-pedagogico, di orientamento e ricerca UniSocrates di Arezzo, città nella quale vive. E' formatore della didattica innovativa iscritto al Registro Internazionale I.E.T, è iscritto al Registro Nazionale Orientatori presso l'Associazione Nazionale Orientatori – Roma, ed è formatore e supervisore autorizzato Eipass – European Informatics Passport. Ha scritto articoli e seminari, tra cui: "Dall'Ideale alla relazione", "Fare il bene fa bene? Analisi dei rapporti parassitari", "Questione d'etica", "Prendersi cura dell'altro nell'era contemporanea", "Il capitale del soggetto", "Il partner e la formazione analitica", "Il soggetto dell'inconscio", "La paura del vero", "Sulla formazione dello psicoanalista", "La psicoanalisi dal divano all'aula di tribunale:psico-appropriazioni indebite", "In genere l'incontro è speciale", "Dall'Ideale alla Relazione", "Pensiero e azione dell'insegnante come imprenditore a scuola" (intervento al corso di formazione accreditato MIUR e organizzato dal Laboratorio di Formazione e Lettura psicoanalitica di Torino, dal titolo "Scuola alla prova dell'appuntamento -- Facilitare i rapporti a scuola")